LA SCOMPARSA DELLA CLASSE MEDIA

Nella parte nord del mondo, quella ricca, stiamo assistendo ad un fenomeno preoccupante: la progressiva scomparsa della classe media (detta anche “ceto medio”), fatto che comporta anche il declino della democrazia in tutto il mondo occidentale.

Che cosa è la “classe media”? Una volta veniva definita “piccola e media borghesia”, cioè l’insieme degli impiegati di concetto, degli operai specializzati, dei piccoli artigiani, dei piccoli commercianti, dei piccoli proprietari terrieri, dei liberi professionisti, che si trovano in mezzo, nella scala sociale, tra i braccianti, gli operai semplici e i medio-alto borghesi (grandi imprenditori, manager di alto livello, banchieri, finanzieri, eccetera).

Il ceto medio è nato nel Medioevo, nei borghi italiani (da cui “borghesia”) ma si è affermato nella prima metà del XX secolo negli Stati uniti d’America; la seconda rivoluzione industriale (o la terza, a seconda dei punti di vista) si manifestò quando Henry Ford applicò i principi dei “tempi e metodi” dell’ingegner Taylor, e diede l’avvio alla “catena di montaggio”. Ford comprese inoltre che se voleva vendere le numerose autovetture prodotte nei suoi stabilimenti doveva consentire ai suoi dipendenti (operai e impiegati) di poterle acquistare, e quindi aumentò loro gli stipendi.

Il ceto medio poi si è notevolmente accresciuto nell’ERA DEL CONSUMISMO, che abbraccia tutta la seconda metà dello scorso secolo(1950-2000).

Prendiamo in considerazione il caso italiano, che è paradigmatico.

L’Italia nel 1945 era semidistrutta. Come anche buona parte dell’Europa occidentale, l’Italia diventò praticamente una colonia degli Stati uniti d’America; si usavano le AM-Lire, arrivavano i soldi del “piano Marshall”, importavamo detersivi, frigoriferi e lavabiancheria dagli USA.

Poi arrivò il famoso “boom economico”: negli anni ’50 e ’60 gli italiani si rimboccarono le maniche, ricostruirono l’Italia semidistrutta e misero in piedi quel sistema industriale fatto di piccole, medie e grandi imprese che per anni ha fatto da modello anche all’estero (il sistema dei distretti).

La FIAT progettava e produceva modelli di autovettura economici ed alla portata dell’operaio e dell’impiegato (pagati soprattutto attraverso le cambiali, e poi attraverso le rate); cominciavano a nascere fabbriche italiane di elettrodomestici (frigoriferi IGNIS, cucine ZOPPAS, lavabiancheria INDESIT /ARISTON); arrivava l’elettronica industriale e OLIVETTI inventava il primo computer a transistor, l’ENI di Enrico Mattei esplorava nuovi giacimenti in Africa.

Gli italiani si trasferivano, come nel resto del mondo, dalle campagne verso le città, e dal Meridione verso il ricco Settentrione (Torino e Milano, soprattutto). La qualità della vita migliorava notevolmente, soprattutto per il ceto impiegatizio, ma gli operai lamentavano stipendi ancora bassi.

Il primo intoppo del “miracolo italiano” avvenne nel 1968-1969, con le proteste degli studenti universitari prima e degli operai dopo. Iniziava la “strategia della tensione” con la bomba nella banca a Piazza Fontana, Milano.

Le guerre arabo-israeliane del 1973 misero fine a 20 anni di crescita economica impetuosa in tutto l’Occidente, a causa del raddoppio dei prezzi dei prodotti petroliferi e l’inflazione che ne conseguì. Nel corso degli anni ’70 il sistema industriale occidentale si ristrutturò, grazie alla automazione ed i primi utilizzi dell’informatica; ci fu un primo rimbalzo delle produzioni.

Nel corso degli anni ’80 l’Occidente cercò di far crollare il sistema economico “comunista”e ci riuscì nel 1989, con lo smantellamento del Muro di Berlino.

Il ceto medio continuava ad essere, in Occidente, lo snodo del sistema economico, sociale e politico dell’Italia e dell’Occidente. Il ceto medio alimentava IL CONSUMISMO, la massima espressione del sistema economico basato sul capitalismo. Gli industriali producevano beni in grandi quantità, il marketing provvedeva a stimolare i bisogni dei “consumatori”, il commercio provvedeva a distribuire i prodotti ed il sistema bancario provvedeva a finanziare gli acquisti attraverso la rateizzazione degli stessi, concedendo prestiti e mutui per acquistare le case.

Il meccanismo sembrava perfetto. Sembrava.

Il primo intoppo del sistema consumistico arrivò nel 1973, perché ne mise in discussione uno dei capisaldi: il basso costo delle materie prime. Ma già negli anni precedenti era stato messo in discussione un altro caposaldo: il basso costo della manodopera.

E negli stessi anni uscì il famoso rapporto del MIT di Boston “The Limits to growth” (erroneamente tradotto in italiano “I limiti dello sviluppo”, laddove “growth” in inglese significa CRESCITA) .

E crescita / sviluppo hanno significati diversi; crescita ha una accezione QUANTITATIVA, sviluppo più QUALITATIVA. Per farla breve, quel rapporto ci fece capire che non si poteva crescere all’infinito in un mondo finito. Le risorse naturali non sono un bene senza limiti, a cui accedere a piacimento, come viene considerato nella economia classica. E lo stesso dicasi per i prodotti finali del ciclo economico, cioè i RIFIUTI. Il pianeta TERRA non è infinito, così come non è infinita la capacita di carico e di smaltimento del ciclo di vita degli esseri viventi e dei prodotti industriali.

Negli anni ’90, dopo il crollo del comunismo, il trionfo del capitalismo fece pensare ad alcuni di essere entrati in una nuova era di prosperità e di benessere.

Molte imprese occidentali, per recuperare margini di redditività andati persi negli anni precedenti (con gli aumenti delle materie prime e della manodopera) pensarono di trasferire le produzioni verso l’est Europa. Non contenti, scoprirono l’immenso mercato cinese, che si apriva al mondo a seguito del nuovo corso inaugurato da Deng Xiaoping.

Iniziarono le delocalizzazioni con trasferimento di tecnologia verso la Repubblica popolare cinese (PRC).

La prima Guerra del Golfo del 1991 fece iniziare gli anni ’90 in un clima di incertezza. Le delocalizzazioni produttive in nazioni con minori diritti sindacali, costi bassi della manodopera, minori regole ambientali e di sicurezza sul lavoro (poco o per nulla contrastate dai sindacati europei e nordamericani) misero in crisi le economie occidentali. Meno fabbriche = meno posti di lavoro = meno redditi. Il ceto medio vedeva erodere il suo benessere. L’Europa diventava sempre meno un continente di produttori per trasformarsi in uno di puri consumatori.

Nel 1995 arrivò INTERNET. Era già partito pochi anni prima, ma da quel momento cominciò a cambiare per sempre le nostre vite.

La sempre più massiccia presenza dell’informatica e della telematica nel mondo del lavoro e nella vita di tutti i giorni stava modificando profondamente l’economia e la società.

Nel 2000 ci fu un primo assestamento (il crollo della bolla delle “dot.com”) ma subito dopo abbiamo visto la nascita e la crescita dei colossi del World Wide Web che conosciamo bene oggi: Google (poi diventata Alphabet), Amazon, Facebook (ora Meta), mentre le grandi aziende degli anni ’80 (come IBM, Apple o Microsoft) cambiavano pelle e modello di business.

La delocalizzazione produttiva verso l’Est (che ha poi portato alla desertificazione industriale di intere aree), l’automazione sempre più spinta dei processi, la concentrazione delle ricchezza in pochi soggetti, la disintermediazione commerciale (la tendenza a comprare su Amazon anziché presso il negozio di quartiere) ci stanno facendo tornare ad un modello sociale pre-industriale.

Per anni sociologi ed economisti ci hanno parlato di una fantasmagorica società POST-INDUSTRIALE, in cui le persone avrebbero lavorato meno (grazie all’automazione), con più tempo libero, più benessere, più tutto. In realtà il lavoro è diminuito, ma nel senso che è aumentata la disoccupazione, in quanto molti posti di lavoro ora sono in altri continenti o sono stati sostituiti dalle macchine e/o dai programmi informatici.

Il “famoso” ceto medio non si è reso conto che si stava scavando la fossa da solo. Ogni volta che acquistiamo un prodotto o un servizio online stiamo uccidendo il negozio di prossimità, che a fronte di un piccolo sovrapprezzo (rispetto all’online) ci fornisce consulenza all’acquisto e quel calore/contatto umano che nessuna macchina, computer o intelligenza artificiale di potrà mai fornire. Ci siamo fatti sedurre dalla “meraviglia” di poter fare tutto da casa, ma a quali scenari stiamo andando incontro?

In Italia gli imprenditori che hanno costruito il suo grande tessuto produttivo sono tutti morti e sepolti. Al loro posto c’è una nuova generazione di “finanzieri-prenditori” abilissimi nel saper sfruttare le pieghe dell’economia virtuale, dei paradisi fiscali e dei finanziamenti europei/statali/regionali. Alla faccia dello scioglimento dell’IRI, il noto conglomerato statale (che aveva nel suo portafoglio molte grandi imprese italiane), buona parte dell’economia italiana è sussidiata dallo Stato o lavora quasi esclusivamente per esso.

Il ceto medio sta scomparendo in Italia (e non solo) perché non ci sono più molte fabbriche, non ci sono più molti uffici, non ci sono più molti negozi di vicinato. La pandemia Covid-19 e la diffusione dello “smart working” hanno accelerato questo processo. I centri storici di molte città, fino a qualche anno fa brulicanti di impiegati e lavoratori che andavano a pranzare presso bar e tavole calde, rischiano la desertificazione, anche a seguito della diffusione dei “bed & breakfast”; molti proprietari di appartamenti preferiscono gli affitti brevi ai turisti piuttosto che affittare ai residenti.

LA DEMOCRAZIA, che per molti sembra scontata e senza limiti, in realtà è appesa ad un filo. Nel XX secolo la crescita della democrazia nelle nazioni occidentali è stata garantita proprio dal ceto medio, il quale, votando i partiti moderati, ha consentito equilibrio e continuità nella vita politica. Ma se il ceto medio scompare via via, torniamo indietro di duecento anni, laddove si forma nuovamente una aristocrazia di pochi ricchi (che stanno diventando sempre più ricchi) mentre più in basso si riforma una massa informe di nuovi “servi della gleba”.

Servi della gleba con lo smartphone, ma pur sempre servi della gleba, con uno smartphone che non viene utilizzato per acquisire conoscenza (con il web abbiamo l’enciclopedia del mondo in tasca) ma per futili conversazioni sui social networks o per stupidi giochini solo per ammazzare il tempo.

Il ceto medio sta lentamente crescendo nel “Sud globale”, ma questa crescita non sta compensando, in termini qualitativi, il calo del ceto medio occidentale.

Che la democrazia sia in regresso in tutto il mondo è un fatto acclarato.

Il prossimo anno, il 2024, sarà un anno decisivo per i destini dell’umanità. La paura nei confronti dei migranti e le incertezze verso il futuro vengono abilmente sfruttate da politici-pifferai magici che stanno spostando il mondo verso il populismo e l’autoritarismo. Si voterà a Taiwan, in Turchia, si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo, in Russia (ma si sa già chi è il vincitore) e, dulcis in fundo, per eleggere il nuovo presidente degli Stati uniti d’America. La probabile rielezione di Donald Trump aprirà una profonda ferita, forse mortale, nella democrazia statunitense. Molte altre guerre si profilano all’orizzonte.

Il riscaldamento globale, ormai inarrestabile (abbiamo già superato il punto di non ritorno), non farà che esacerbare tutti i fenomeni già descritti.

Siamo ancora in tempo per invertire la tendenza?

Il torpore in cui è precipitata la specie umana non fa presagire nulla di buono, ma, sempre con lo spirito del “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”, dobbiamo comunque rimboccarci le maniche e darci da fare. Non abbiamo scelta.

I SONNAMBULI

David Carretta , corrispondente a Bruxelles per Radio Radicale, ci fornisce ogni mattina, verso le 7,05-7,10, la più interessante e sintetica rassegna stampa internazionale del panorama radiofonico nazionale.

Giovedi 14 dicembre 2023 ci ha sintetizzato un articolo di Sylvie Kauffmann sul quotidiano francese Le Monde

https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/12/13/prise-en-etau-entre-trump-et-poutine-l-europe-court-a-la-catastrophe-comme-les-somnambules-de-1914_6205506_3232.html

(per chi lo preferisce in inglese)

https://www.lemonde.fr/en/opinion/article/2023/12/14/caught-between-trump-and-putin-europe-is-heading-for-disaster-like-the-sleepwalkers-of-1914_6341533_23.html

Il 14 e 15 dicembre 2023 si svolge il Consiglio europeo, che dovrà discutere di patto di stabilità ed allargamento a est della Unione europea. La guerra in Ucraina è in agenda? Non si capisce.

Sylvie Kauffmann ci ricorda che l’Europa è piena di sonnambuli che si muovono sembrando svegli, ma in realtà dormono sonni profondi. Se la UE non approverà un pacchetto di aiuti per l’Ucraina saranno guai grossi; gli USA non hanno approvato analogo provvedimento e se la UE farà lo stesso, per Vladimir Putin sarà un ottimo regalo di Natale: significherà che la sua strategia, quella di logorare l’Occidente sul lungo periodo, sta funzionando.

Putin e Xi Jinping si fregheranno le mani, ma la loro sarà una vittoria di Pirro.

Vladimir Putin annetterà definitivamente gli oblast del Donbas e della Crimea e si farà ingolosire dalla conquista di Odessa e magari della Moldavia, già parzialmente controllata attraverso i filorussi della Transnistria. Putin potrà sventolare lo scalpo di Zelensky nel corso della trionfale prossima campagna elettorale presidenziale di cui si conosce già l’esito: è facile vincere quando i principali avversari (Navalnij) sono in carcere o sotto terra.

Tanto i vigliacchi europei NON sono disposti a morire per l’Ucraina. Forse lo saranno i polacchi, che già hanno assaggiato per secoli il tallone russo, in particolare nel corso del XX secolo. E forse lo saranno i baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) che sarebbero le prime vittime dell’espansionismo russo.

Il filosofo, prestato alla politica , Massimo Cacciari, diceva pochi giorni fa che la Russia non invaderà mai l’Europa. Non so in base a quali informazioni Cacciari mostri la sua sicumera. Ormai Putin è partito nella sua crociata contro il “pervertito” Occidente (sostenuto dal capo della chiesa ortodossa Kirill) e non credo si fermerà facilmente.

La Russia è diventata il cane da guardia di Xi Jinping per spaventare l’Europa, esattamente come la Corea del nord serve ai cinesi per spaventare l’Estremo Oriente (Corea del sud e Giappone in primis).

Come sempre alla UE manca il senso della realtà e della storia. LA UE non è mai stata così ininfluente come adesso. Ha avuto un sussulto di orgoglio dal febbraio 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, ma manca di leader che la possano guidare seriamente.

La assai probabile vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali USA del novembre 2024 metterà l’Europa di fronte alle sue responsabilità. Il secondo mandato di Donald Trump, oltre ad essere una catastrofe per il modo intero, segnerà il definitivo affossamento dalla NATO, come peraltro Trump ha cercato di fare nel corso del suo primo mandato. E allora, obtorto collo, saremo costretti a prendere in considerazione un esercito europeo. Putin ci ha fatti tornare indietro di 80 anni: le relazioni internazionali si svolgono di nuovo con le pistole in mano e sul tavolo.

I repubblicani USA sono ormai soggiogati da Trump e dal suo “Make America great again” (MAGA); non si capisce come faranno gli USA a restare potenza mondiale se si ritirano dai teatri di guerra per rinchiudersi in una torre d’avorio, come pensa Trump. La potenza USA si è esplicata dominando il mondo, con il suo esercito, la sua marina e la sua aviazione, non certamente restandosene a casa.

Putin e Xi Jinping si fregheranno le mani, ma la loro sarà una vittoria di Pirro.

Il caos mondiale che deriverà dal declino degli USA autorizzerà tutti i dittatori sparsi per il mondo a rivendicare territori dei loro vicini (come sta facendo Maduro in Venezuela).

Le guerre, come noto, rallentano i commerci mondiali, e la Repubblica popolare cinese (PRC) a chi venderà le sue merci? Già oggi la poltrona di Xi Jinping comincia a traballare, visto che l’economia cinese è molto rallentata, in particolare dopo la stretta del Partito comunista cinese (PCC) nei confronti dei miliardari locali (vedasi l’esemplare vicenda di Jack Ma); chi mai vorrebbe investire in PRC , quando ormai comanda solo ed esclusivamente il PCC?

Non parliamo poi della Russia, che aveva già una economia traballante, che è stata riconvertita in economia di guerra.

Forse PRC e Russia sperano nei BRICS, la assortita alleanza che vorrebbe contrapporsi all’Occidente, ma dentro ci sta pure l’India, che aspira anch’essa a diventare potenza mondiale (con 1,5 miliardi di abitanti) e mal digerisce la PRC. Ne vedremo delle belle.

Nel frattempo il pianeta Terra sta diventando un posto sempre più difficile. LA COP 28 recentemente conclusa a Dubai ha detto che dovremo ridurre l’uso dei combustibili fossili entro il 2050, ma non ci sarà nessuno a imporre sanzioni e quindi resterà una aspirazione volontaria.

Nel 2050 il mondo sarà abitato da circa 10 miliardi di persone; già oggi 1 miliardo di persone vive nella fame e 3 miliardi vivono nella miseria (su 8 miliardi in totale); cosa accadrà dopo?

Accadrà quello che è sempre accaduto, da quando esiste la specie umana: i ricchi, che diventeranno sempre più ricchi, si rifugeranno in luoghi sempre più esclusivi e protetti (come nel film Elysium, in una stazione orbitale gigante intorno alla Terra), mentre il resto dell’umanità dolente resterà a patire in un mondo sporco, surriscaldato ed affollato. Già oggi è così, non serve scomodare i registi di fantascienza.

Per tornare all’oggi, vedremo i cavalli dei cosacchi abbeverarsi a San Pietro? Non lo so, ma se continua così pagheremo la nostra ignavia a caro prezzo.

PUTIN STA VINCENDO LA GUERRA?

David Carretta cura la rassegna stampa internazionale per conto di Radio radicale.

Nei giorni 1 e 2 dicembre 2023 ci ha parlato dell’articolo del settimanale The Economist “Putin seems to be winning the war in Ukraine – for now / His biggest asset is Europe’s lack of strategic vision”.

Qualcuno ci da’ aggiornamenti sulla guerra in corso in Ucraina.

Le sanzioni occidentali non sembrano aver intaccato le capacità militari russe, Russia che continua a vendere il suo petrolio ed il suo gas, invece che agli europei, agli indiani, ai cinesi ed al resto del mondo.

La Russia sta importando armi dalla Corea del nord, dall’Iran, probabilmente anche dalla Cina PRC tramite la Corea del nord. E la Russia, insieme alla Cina PRC, si è fatta portabandiera della riscossa dei paesi del sud del mondo contro l’Occidente.

In patria la dittatura putiniana è diventata più dura a seguito della guerra; il popolo pare rassegnato a mandare a morire la sua gioventù, mentre le menti migliori sono già scappate all’estero (a morire vanno i giovani delle regioni più sperdute della Siberia, non certamente i figli della borghesia moscovita).

Come noto, la Russia è molto più grande dell’Ucraina, con una popolazione 4 volte maggiore (considerando i profughi ucraini sparsi per l’Europa); essa si era preparata alla guerra da molto tempo e può permettersi il lusso di aspettare le elezioni USA di novembre 2024, sperando nella rielezione di Donald Trump (che probabilmente toglierebbe il sostegno all’Ucraina).

In Ucraina invece serpeggia il malcontento, specialmente tra i vertici militari ed il presidente Volodymyr Zelensky. L’offensiva di primavera non ha dato i risultati sperati, i soldati ucraini continuano a morire per conquistare o difendere pochi metri di terra. I continui bombardamenti stanno mettendo a dura prova la popolazione civile.

L’Ucraina riesce ad esportare parte della sua produzione agricola attraverso un corridoio navale che costeggia la Romania e la Bulgaria, ma non in maniera sufficiente a sostenere la sua economia, che dipende dagli aiuti occidentali.

E l’Europa? Quando Putin ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, egli pensava ad una facile vittoria, pensava che in una settimana sarebbe arrivato a Kiev, installando un governo fantoccio. Sappiamo invece come è andata. Putin contava anche in un non intervento dell’Europa e della NATO (come era successo per l’annessione della Crimea nel 2014), invece l’attacco russo ha compattato le nazioni europee e gli USA.

Ma sulla distanza la nuova strategia di Putin sembra dare i suoi frutti. Putin sa bene che l’Europa si distingue per la mancanza di coesione e punta a logorare la compattezza sul lungo periodo.

La Russia conta già sul sostegno dell’Ungheria (che andrebbe espulsa dall’Unione europea), e forse anche della Slovacchia; dai notiziari televisivi la guerra in Ucraina sembra quasi scomparsa (sopravanzata dalla crisi di Gaza) e questo gioca a favore di Putin.

La Turchia, grazie al fiuto del furbo Erdogan, sta cercando di ritagliarsi un ruolo sempre più centrale nelle due guerre in corso; la Turchia si trova anche geograficamente nel mezzo dei due scenari, quello ucraino e quello israeliano-palestinese.

La situazione mondiale sta evolvendo rapidamente e l’Europa non riesce a stargli dietro.

Come sempre accade dagli albori dell’umanità, le comunità si rinsaldano prevalentemente di fronte alle emergenze ed alle catastrofi. Abbiamo due guerre alle porte di casa, cosa altro deve succedere per dare una scrollata al torpore europeo?

Noi europei ormai dovremmo aver capito che non possiamo più contare sull’”ombrello protettivo” fornito dagli USA per 80 anni. Gli Stati uniti d’America hanno i loro problemi, sono una potenza in declino, sono concentrati sullo scenario dell’Oceano Pacifico (e dell’Oceano Indiano) dove devono tenere sotto controllo le pretese espansionistiche cinesi.

L’Unione europea, a dispetto del nome, non è per niente unita. Fino a pochi anni fa l’Europa era guidata dal tandem Francia-Germania, le due nazioni più forti e più ricche. La Germania, sotto la presidenza Scholtz, appare distratta ed indebolita; il presidente Macron cerca di apporfittarne, rilanciando una sua ipotetica capacità di guida continentale.

Di esercito europeo neanche a parlarne, anche se la minaccia russa ha fatto aumentare le spese militari in tutta la UE.

Se non aumentiamo la coesione europea e se non ci dotiamo di una maggiore visione per gli anni a venire, rischiamo di essere schiacciati dai cambiamenti in atto.

Si è parlato spesso del ruolo della Repubblica popolare cinese (PRC) nel nuovo ordine mondiale. Recentemente Xi Jinping ha incontrato il presidente USA Joe Biden. Pare che la PRC voglia trovare una parziale distensione con gli USA, perché la situazione internazionale sempre più tesa sta frenando le sue esportazioni.

Non bisogna essere degli esperti di geopolitica e di economia per capire che le guerre rallentano il commercio mondiale. Ma pare che Xi Jinping lo abbia capito in ritardo; egli è preso tra la volontà di supportare la Russia nella sua guerra esistenziale contro l’Occidente e la necessità di non deteriorare troppo il quadro internazionale per proteggere la sua economia.

Anche la PRC non se la passa benissimo; dalla crisi mondiale del 2007-2008 le sue esportazioni sono calate, il mercato interno non compensa il calo dell’export, la pandemia Covid-19 ha dato un duro colpo all’economia ed alla coesione sociale. Anche la PRC è afflitta dal problema del calo demografico: decenni di politica del figlio unico (per evitare una crescita della popolazione fuori controllo) hanno creato il problema opposto.

Xi Jinping ha in mano i destini del mondo. Sta a lui decidere se e quando far continuare la guerra in Ucraina. Anche la crisi israelo-palestinese può essere contenuta se la PRC alza la voce.

Il mondo sta cambiando molto velocemente, nuove forze stanno sconvolgendo equilibri che pensavamo immutabili. L’Europa deve diventare protagonista, per non essere schiacciata.

L’umanità deve essere il più possibile coesa, per affrontare la incombente catastrofe climatica. Ma per fare questo dobbiamo rivedere completamente i nostri obiettivi ed i nostri stili di vita.