REPUBBLICA POPOLARE CINESE – AUTUNNO 2023

La Repubblica popolare cinese (PRC – People’s republic of China) è una grande nazione; è la seconda nazione più popolata al mondo, superata recentemente dall’India; è la seconda potenza economica mondiale in termini di PIL (prodotto interno lordo); sarebbe la prima, secondo il calcolo PPP (PIL a parità di potere di acquisto).

Il PIL cinese relativo al 2022 sarebbe di quasi 20mila miliardi di dollari, mentre quello USA sarebbe di 25mila miliardi di dollari; non così distanti, quindi. Il terzo paese, il Giappone, sta molto più indietro (5000 miliardi di dollari).

La PRC, come noto, è gestita da un unico partito, il Partito comunista cinese (PCC) che nel 1949, sotto la guida di Mao Zedong, conquistò il potere, dopo 25 anni di guerra civile contro i nazionalisti di Chiang Kai-shek.

Mao Zedong cercò di superare le difficoltà economiche della nazione (ancora prevalentemente agricola), prima con il “Grande balzo in avanti” e poi con la “Rivoluzione culturale”, che non ebbero grandi risultati (anzi, ci fu una carestia con milioni di morti).

La vera svolta arrivò con Deng Xiaoping che governò la PRC dal 1978 al 1992, e fu l’autore della “riforma economica cinese”. Durante gli anni ’80 dello scorso secolo disse ai suoi compatrioti che arricchirsi era lecito, se ciò serviva a migliorare la propria nazione. Furono privatizzate le terre, si aprì l’economia a investimenti stranieri, si poterono aprire imprese private e si crearono zone economiche speciali, come Shenzhen.

In buona sostanza, si introdussero elementi di capitalismo in un sistema politico formalmente di socialismo reale, governato sempre e comunque con il pugno di ferro dal PCC.

L’apporto di capitali e di tecnologia dall’Occidente, legato alla laboriosità, all’intraprendenza ed al basso costo della manodopera cinese, consentì alla PRC in pochi anni, soprattutto nel corso degli anni ’90, di diventare “la fabbrica del mondo”.

Questo accadde anche a seguito del crollo del Muro di Berlino del 1989.

Dopo la caduta dell’URSS, il sistema economico occidentale cercò di recuperare margini di redditività trasferendo molte produzioni nei paesi dell’est Europa e dell’Asia in generale.

Il boom economico occidentale degli anni ’50 e ’60 aveva mostrato le prime crepe già nel corso degli anni ’70, con l’aumento dei prezzi del petrolio e delle materie prime dovuto alle guerre arabo-israeliane.

Nel corso degli anni’80 vennero applicate innovazioni tecnologiche di automazione industriale che, insieme alla rivoluzione informatica, portarono ad un rilancio delle economie occidentali; ma la perdita di redditività del sistema era costante, intrinseca al sistema consumista, e si pensò di risparmiare sulla manodopera, portando le produzioni a Oriente, mantenendo la progettazione in USA ed Europa.

Di questo processo si avvantaggiò enormemente la PRC, che in pochi anni recuperò il divario con le economie occidentali, fino a diventare la seconda economia mondiale, insidiando il primato agli USA. Il XXI secolo è e sarà il secolo del confronto tra USA e PRC, sia dal punto di vista economico che militare.

Ma questa crescita accelerata della PRC aveva un tarlo.

Come è possibile che possa resistere un sistema economico capitalista in un regime che si definisce comunista? Tutti hanno fatto finta di nulla, sia i cinesi che il resto del mondo, fintanto che la parola d’ordine era quella di fare affari per arricchirsi reciprocamente.

Oggi, mese di settembre dell’anno di grazia 2023, le contraddizioni di questo ossimoro sono esplose in maniera evidente.

La PRC ha avuto una crescita tumultuosa per quasi vent’anni, dal 1990 al 2008. Nel 2007-2008 la tristemente famosa crisi finanziaria mondiale, innescata dal fallimento della banca Lehman Brothers (a sua volta causata dalla vicenda dei “mutui subprime”) provocò un calo drastico della domanda di beni e servizi e di conseguenza bloccò “la fabbrica del mondo”.

Per 20 anni l’economia cinese si era basata sulle esportazioni, e all’improvviso i cinesi furono costretti a riorientare le loro pianificazioni. Calando l’export, cercarono di spingere il mercato interno, puntando soprattutto sul più classico dei settori, quello dell’edilizia.

Anche in Europa il settore dell’edilizia è stato un grande motore della crescita dell’economia: esso si porta dietro tanti comparti, come quello del cemento, del ferro, del legno, dell’arredamento, dell’elettricità, della meccanica, dei servizi immobiliari eccetera eccetera.

Ma, come spesso accade, è stata attribuita all’edilizia cinese eccessiva rilevanza. Sono state create intere città dal nulla. La pandemia Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno rallentato ulteriormente la crescita economica cinese, ed oggi i cinesi non riescono ad acquistare i milioni di appartamenti e/o non riescono a far fronte ai debiti connessi all’acquisto delle case.

Sta esplodendo la “bolla immobiliare” cinese. Le principali imprese immobiliari (Evergrande e Country garden) sono in forte affanno, se non già tecnicamente fallite.

Anche gli altri sforzi per diversificare l’economia cinese, come quello di potenziare i servizi, ad esempio gli affari legati allo sport ed in particolare al calcio, al momento non hanno portato grandi benefici.

Il presidente Xi Jinping, da più di dieci anni capo assoluto della PRC e del PCC, ha inoltre commesso un grave errore.

Sta scritto nei principali testi di economia politica, ed in particolare quelli delle correnti liberiste, che l’economia, per poter girare, ha bisogno degli “spiriti animali” degli imprenditori. Sono gli imprenditori, piaccia o meno, che fanno andare avanti l’economia.

Ormai la qualifica di “imprenditore” viene affibiata anche al piccolo commerciante, all’agricoltore con un pezzetto di terra o all’artigiano che apre una bottega; ma in realtà “imprenditore” è colui che che è capace, rischiando capitali propri o di terzi, rischiando il proprio tempo, la propria reputazione e, a volte, la stessa sua vita, di mettere in piedi una o più aziende, che nell’arco di qualche anno producano profitti per sé ed i suoi eventuali soci in affari.

La qualifica di imprenditore andrebbe data a chi è capace di gestire mezzi finanziari, materiali e , soprattutto RISORSE UMANE per il conseguimento dei suoi fini socio-economici.

Tornando alla PRC, la poderosa crescita economica cinese è stata determinata dal fatto che è stato dato libero spazio alla libera impresa. E molti cinesi si sono arricchiti, come Jack Ma, fondatore di Alibaba.

Ma come possono convivere i miliardari in un sistema formalmente “comunista” ? E infatti Xi Jinping, nella paura che i miliardari cinesi gli erodessero parte del suo potere, due anni fa ha imposto uno stop alla politica iniziata dal suo predecessore Deng Xiaoping. Jack Ma è stato bloccato nel suo tentativo di creare una banca e con lui sono stati ricondotti all’ordine tutti gli altri miliardari. Comanda il Partito comunista cinese.

Esattamente quello che è successo a Hong Kong; una volta colonia britannica, dal 1997 è tornata sotto il controllo della PRC, ma i patti con la Gran Bretagna prevedevano un regime transitorio di 50 anni, fino al 2047, in cui la ex-colonia doveva convivere secondo il principio “una Cina, due sistemi”.

Cioè Hong Kong avrebbe dovuto mantenere fino al 2047 un regime speciale, mantenendo la sua autonomia politica, sociale, giuridica, finanziaria, conquistata nel corso degli anni, come importante piazza finanziaria asiatica. In Hong Kong erano presenti molti occidentali, il tenore di vita era molto elevato e si godeva di una libertà di espressione come in Occidente.

Tutto ciò è finito pochi anni fa. Xi Jinping ha imposto il tallone di ferro anche nella piccola città-stato, molti occidentali e molti cinesi sono fuggiti all’estero.

E quindi le contraddizioni di un sistema economico capitalista in una dittatura comunista stanno venendo alla luce in tutta la loro potenza. Se vengono tarpate le ali alla libertà di impresa e se viene imbrigliata la principale piazza finanziaria asiatica è inevitabile aspettarsi un rallentamento dell’economia.

Xi Jinping si sta proponendo come un novello Mao Zedong, facendo tornare la PRC di 40 anni indietro. Comanda il Partito, l’economia deve tornare in mano allo Stato, guai a chi dissente dal “grande timoniere”.

E tutto questo sta producendo una crescita economica cinese per il periodo 2023-2024 assai inferiore alle medie degli ultimi anni. Archiviate le crescite del PIL del 10% all’anno del periodo 1990-2008, si è passati negli anni successivi a crescite intorno al 5-6%. Come andrà a fine 2023?

Già, come andrà? Chi lo sa? Come possiamo essere certi dei dati forniti dal Partito comunista cinese, che tutto scruta e che tutto sa?

Non bisogna essere particolarmente intelligenti per capire che in una dittatura NON ESISTE TRASPARENZA. I dati, di qualsiasi tipo, sono magnanimamente forniti dal Partito, a suo uso e consumo, e non esistono autorità terze che li possano smentire.

La contraddizione di un “capitalismo comunista” (o di un “comunismo capitalista”, vedete voi) salta agli occhi su un particolare importante: un sistema economico capitalista è basato sulla LIBERA CONCORRENZA.

Libera concorrenza significa che un imprenditore che vuole aprire un’azienda deve essere libero di leggere i bilanci delle aziende a cui vuole fare concorrenza, deve essere libero di ottenere finanziamenti dal libero mercato delle banche, deve ESSERE LIBERO DI INTENTARE UNA CAUSA GIUDIZIARIA se un fornitore o un cliente non ottemperano agli obblighi contrattuali.

Ma se il sistema delle camere di commercio, il sistema bancario ed il sistema giudiziario cinesi sono controllati dall’onnipresente Partito comunista cinese; se l’imprenditore sta antipatico agli onnipresenti funzionari del PCC, addio libertà di impresa. Addio concorrenza. Addio “capitalismo comunista” o “comunismo capitalista”.

Non bisogna essere particolarmente intelligenti per capire tutto questo, ma questo NON LO HANNO CAPITO i “geniali politici” ed affaristi nordamericani ed europei, che hanno continuato a fare affari con i cinesi della PRC (perché esistono anche i cinesi della ROC, Republic of China – Taiwan) facendo finta di nulla in merito alla gestione socio-politica della nazione.

Pecunia non olet. I soldi non hanno odore. Ma che c’importa se la PRC è una dittatura, basta che comprano.

Ma, come già detto, prima o poi le contraddizioni vengono a galla.

E il rallentamento della crescita cinese PROVOCA IL RALLENTAMENTO DELL’ECONOMIA TEDESCA. A chi vendono i tedeschi le loro Mercedes, BMW, Audi, Volkswagen se i cinesi hanno meno capacità di spesa?

E il rallentamento cinese e tedesco provoca INEVITABILMENTE il rallentamento dell’economia italiana ,essendo noi italiani diventati subfornitori di meccanica ed elettronica per le autovetture e per l’economia tedesca.

E chi traina in questo momento l’economia mondiale? Bella domanda.

Si sa, le guerre rallentano l’economia perché rallentano gli scambi commerciali. La guerra in Ucraina non fa eccezione. In guerra si arricchiscono solo le aziende che producono strumenti di morte, carri armati, missili, aerei, munizioni.

Ed è quello che sta accadendo; l’economia USA, che sostiene l’Ucraina, cammina a seguito delle forniture militari e cammina perché le aziende tecnologiche come Alphabet-Google, Meta- Facebook-WhatsApp-Instagram, Amazon, Space-X di Elon Musk, Apple, Microsoft, Intel, NVIDIA (fondata peraltro da un cinese di Taiwan) mantengono ancora un primato tecnico ed economico.

IL PIL mondiale quest’anno crescerà poco. Crescerà grazie a India, Brasile ed altre nazioni del “sud globale”che lentamente e faticosamente si stanno liberando dalle briglie del neo-colonialismo.

Se tre miliardi di persone che vivono nel sud del mondo sotto la soglia di sussistenza e sono affette da malnutrizione (fonte FAO – 2020) avessero un reddito decoroso, l’economia mondiale ripartirebbe per i prossimi 100 anni.

Ma la realtà di oggi ci confina ad uno scontro epocale tra Occidente (USA+Europa+Giappone+Sud Corea e Australia-Nuova Zelanda) e PRC-Russia ed i loro alleati (Brasile, e altre nazioni asiatiche ed africane).

Uno scontro dagli esisti imprevedibili, che verrà messo alla prova tra breve sulla questione TAIWAN.

AFRICA AFRICA AFRICA

Oggi, giovedi 14 settembre 2023 Mario Giro è intervenuto al termine del programma radiofonico di RAI Radio3 “Tutta la città ne parla” (https://www.raiplaysound.it/programmi/tuttalacittaneparla).

Mario Giro è un politico italiano, è stato viceministro agli Affari esteri nei governi Renzi e Gentiloni. Attualmente si occupa di relazioni internazionali per la Comunità di Sant’Egidio. Scrive sul quotidiano “Domani”.

Un ascoltatore radiofonico aveva detto oggi che la principale industria africana è quella della immigrazione, essendone coinvolti trafficanti, trasportatori, intermediari di vario genere e tipo. Mario Giro ci ricordava che la principale industria africana è in realtà LA GUERRA.

Buona parte delle nazioni africane è in una situazione di guerra civile più o meno manifesta o dichiarata, con varie fazioni che si combattono per il controllo delle risorse minerarie di cui l’Africa è ricca.

Queste fazioni combattono le truppe governative (e/o si combattono fra di loro) camuffandosi con coperture religiose (jihadismo islamico), etniche o politiche. Ma lo scopo fondamentale è quello di mettere le mani sul petrolio, sul gas, sui diamanti, sull’oro, sui preziosi minerali indispensabili per la transizione energetica.

E senza contare le guerre prossime venture, come quella che scoppierà tra breve tra Egitto, Sudan, Sud Sudan ed Etiopia per il controllo delle acque del Nilo.

Il risultato di tutte queste guerre è il disfacimento delle strutture statali: basta ricordare quello che è accaduto in Somalia qualche decennio fa, dopo la caduta del dittatore Siad Barre; oppure, più recentemente, ciò che è accaduto in Libia, dopo l’assassinio di Muhammar Gheddafi.

E’ di questi giorni l’aggravamento della già pesante situazione migratoria a Lampedusa. Arrivano sempre più migranti dalla Tunisia, altra nazione a rischio disfacimento. I protocolli di collaborazione firmati pochi mesi fa tra Tunisia, Italia e Commissione Ue non hanno prodotto alcun risultato.

E questo pone grossi interrogativi.

Da anni si dice che per rallentare l’immigrazione dall’Africa dobbiamo “aiutarli a casa loro”. Effettivamente, per invogliare gli africani a rimanere a casa loro occorre migliorare le loro condizioni economiche e sociali.

La FAO ha dichiarato poco tempo fa che nel mondo TRE MILIARDI di persone soffrono di malnutrizione, e molti di essi sono in Africa.

Le condizioni di miseria dei popoli africani, STA SCRITTO IN TUTTI I LIBRI DI STORIA (compresi i manuali in uso agli studenti medi) derivano da secoli di colonialismo da parte delle nazioni europee (compresa la deportazione in America di milioni di schiavi africani).

Al colonialismo si è poi sovrapposto il NEO-COLONIALISMO, che si è instaurato dopo la pseudo-decolonizzazione africana, dagli anni ’60 dello scorso secolo in poi.

Le nazioni sono diventate FORMALMENTE indipendenti, ma in realtà il potere locale è sempre stato fortemente condizionato dalle ex-potenze coloniali, a cui si sono poi aggiunti gli USA, la PRC (People’s republic of China), la Russia e molte medie potenze come Turchia, Israele, Arabia Saudita e nazioni limitrofe.

La stragrande maggioranza delle nazioni africane è governata da dittatori, che detengono il potere coadiuvati dai loro familiari e dalle locali oligarchie politiche, militari ed economiche. Questi gruppi di potere fanno affari con le nazioni ex e neo-coloniali e con le loro multinazionali, anche perché hanno bisogno delle tecnologie straniere per poter estrarre i preziosi minerali. Lo stesso accade per le risorse agricole.

Qualsiasi somma di denaro verrebbe/verrà inviata alle nazioni africane ben difficilmente arriverà a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali: resterà nelle tasche dei dittatori e dei loro amici.. Figuriamoci a inviare denaro a nazioni che non sono più nazioni: non sapremmo nemmeno a chi mandarlo.

A fronte di questa desolante situazione, cosa si può fare?

  1. INTANTO PRENDIAMO COSCIENZA DELLE NOSTRE RESNSABILITA’ STORICHE. Dobbiamo ricordare che NOI EUROPEI siamo in larga parte responsabili del disastro africano. Dobbiamo accogliere gli africani, non tanto per compassione o pietà umana, quanto per nostre colpe passate e presenti.
  2. Dopo aver preso coscienza, dobbiamo aumentare in modo significativo i CORRIDOI UMANITARI, che già vengono attuati dai Protestanti ed Evangelici italiani e dalla Comunità di Sant’Egidio, ma con numeri modesti
  3. Dobbiamo realizzare con le nazioni del nord Africa, che hanno ancora una struttura statuale funzionante, come Egitto, Algeria o Marocco, dei protocolli per registrare i migranti che intendono recarsi in Europa, ma facendoli arrivare in nave o in aereo IN MODO LEGALE
  4. E prendiamo anche coscienza che l’Italia e l’Europa sono in INVERNO DEMOGRAFICO, si fanno sempre meno figli, la popolazione in età lavorativa diminuisce di anno in anno, le imprese faticano sempre più a trovare manodopera. Non bisogna essere particolarmente intelligenti per capire che la risposta all’inverno demografico è nella INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI.

Integrazione dei migranti che i partiti politici europei di destra /centro-destra NON VOGLIONO. Questi partiti preferiscono spaventare gli elettori con la “presunta” invasione dei migranti. Peraltro l’attuale governo italiano (di destra /centro-destra) dopo un anno di esercizio, ancora non riesce a mettere mano al problema, restiamo sempre al livello di vittimismo e complottismo (è colpa dell’Europa, è un atto di guerra, è colpa di Soros, è in atto una sostituzione etnica, manca solo il complotto pluto-giudaico-massonico di mussoliniana memoria).

Il governo giallo-verde del Conte Uno (M5S + Lega) aveva smantellato il sistema SPRAR, che prevedeva la redistribuzione, l’accoglienza, l’integrazione, l’istruzione e l’avviamento al lavoro dei migranti su tutto il territorio italiano, in piccoli gruppi, senza creare allarme sociale.

Se non vogliamo accogliere i migranti per solidarietà umana, facciamolo almeno per bieco interesse, visto che mancano braccia per l’agricoltura, operai per le nostre fabbriche, lavoratori nei servizi e personale per l’assistenza alle famiglie (COLF e badanti).

Infatti la Confindustria e le altre associazioni datoriali presto o tardi faranno pressioni sull’attuale governo della Repubblica, affinché aumenti le quote di lavoratori legali da far entrare nel nostro Paese ( come peraltro sostenuto qualche mese fa dal ministro Lollobrigida, subito messo a tacere da altri colleghi di governo).

La gestione dell’immigrazione è una delle principali sfide dei prossimi mesi /anni, se non la principale.

Sta a tutti noi prenderla dal verso giusto.