Automobili, automobili, automobili

L’automobile è il simbolo potente dell’era del consumismo (1950 – 2000).

L’automobile è stata la protagonista della seconda rivoluzione industriale, quando Henry Ford applicò i principi dei “tempi e metodi” dell’ingegner Taylor. E così un secolo fa nacque la catena di montaggio.

L’automobile è stata la protagonista di tutta l’economia del XX secolo e dell’”american way of life”, lo stile di vita del benessere e del successo degli Stati uniti d’America, esportato poi in tutto il mondo.

L’automobile è carica di potenti simbologie e psicologie. Possedere un’automobile (specialmente quelle di fascia medio-alta) è ancora per molti esseri umani di sesso maschile (ma anche femminile) un totem sessuale, che consente di poter “conquistare” altri esseri umani dimostrando potere, sicurezza, ricchezza, benessere.

E per molti ventenni l’automobile è ancora una bara ambulante, specialmente nelle notti dei fine settimana.

Il fatto che l’automobile sia un mezzo di trasporto e che serva per spostarsi in tempi relativamente brevi dal punto A al punto B, spesso è del tutto secondario.

L’anno 2021 è stato catastrofico per l’industria automobilistica mondiale, sia a causa della pandemia Covid-19 (ed il conseguente calo degli acquisti) che per la carenza di microchip, ormai indispensabili per il settore automotive, essendo l’automobile del XXI secolo un “computer su ruote”.

Le convulsioni dell’industria mondiale delle automobili ben rappresentano la fine dell’era del consumismo.

Il problema è che in pochi (non certamente la classe politica e dirigente mondiale) vogliono prendere atto che il modello economico consumista ha ormai esaurito la sua “spinta propulsiva”, ammesso che ne abbia mai avuto una.

Certamente il consumismo (massima espressione del capitalismo maturo del XX secolo) ha svolto un ruolo di accelerazione delle economie dell’”occidente” (nord America, Europa, Giappone, Corea del sud) e successivamente della Repubblica popolare cinese; ma il consumismo ha provocato per l’economia mondiale gli stessi effetti della cocaina per gli esseri umani: una esasperazione del metabolismo e delle prestazioni, ma compromettendone la salute ed accorciandone la vita.

Il consumismo ha portato un precario benessere ai paesi “occidentali”, basando il proprio successo sullo sfruttamento sistematico delle risorse naturali ed umane del pianeta, soprattutto del sud del mondo. Ora la nostra casa, il pianeta Terra, si è surriscaldata, e la natura presenta il conto.

La nostra casa, il pianeta Terra, è un’astronave che viaggia nel Cosmo, ed è sempre più invivibile. Ma per gran parte degli esseri umani, chissenefrega.

Tornando all’argomento iniziale, qualche intelligentone pensa che la soluzione per risolvere i problemi dell’ambiente mondiale sia l’automobile elettrica.

Che bello, l’auto elettrica ci permetterà di spostarci senza emettere gas climalteranti ed inquinanti (non c’è solo la CO2, ma anche ossidi di azoto, di zolfo, particolato ed altre schifezze varie).

Peccato che le batterie delle automobili elettriche vadano ricaricate con elettricità che non sempre è di origine rinnovabile e pulita.

Peccato che le batterie delle automobili comportino comunque l’estrazione di minerali (come il litio) a volte rari, che devastano comunque l’ambiente e territori incontaminati.

Peccato che la produzione di automobili comporti comunque il consumo di enormi quantità di materie prime e di energia necessaria per produrle.

Se tutti gli abitanti della Terra potessero acquistare un’automobile (tolti i minorenni, diciamo 5 miliardi di persone) l’estinzione della razza umana sarebbe assai vicina. Ma tanto non succederà: diversi miliardi di persone soffrono fame, miseria, malattie, guerre e figuriamoci se si possono permettere l’acquisto di un’automobile.

E allora? Quali soluzioni, quali proposte? Giustamente, a dire di no, siamo capaci tutti, ma la lamentela sterile non porta da nessuna parte.

E allora quali proposte? Nessuno ha la bacchetta magica o soluzioni in tasca.

Ma se non prendiamo atto della malattia, cioè che l’era del consumismo è finita, se non facciamo una diagnosi corretta, mai troveremo la cura. L’era del consumismo è finita perché i mercati del nord del mondo sono saturi e perché stanno distruggendo la classe media, quella che ha alimentato il consumismo. Il sud del mondo non ha i soldi per proseguire l’era del consumismo.

Nella storia dell’umanità, le svolte geopolitiche, economiche e sociali a volte sono avvenute gradualmente, ma più spesso in maniera repentina e violenta.

Cos’altro deve accadere per convincerci che così non possiamo andare avanti? Occorre una svolta culturale, sociale, morale ed etica. La catastrofe climatica incombente ci deve portare a rivedere la nostra condizione ed i nostri percorsi di vita.

Sicuramente i ricchi, quelli che governano il mondo, stanno già predisponendo delle “ciambelle di salvataggio” in qualche località artica o in cima alle montagne, ma noi “comuni mortali” dobbiamo fare qualcosa in più.

Lo psicoanalista Erich Fromm aveva scritto nel secolo scorso il libro “Avere o essere”. Dobbiamo passare dalla economia del possesso all’economia dell’accesso e dell’utilizzo. Magari anche della condivisione. Non abbiamo alternative.

Invece di produzioni “usa e getta”, occorrono oggetti robusti, ben progettati e destinati a durare, con poco consumo di materie prime, facilmente smontabili e riciclabili. Con la filosofia “PAAS” (product as a service”) il prodotto come servizio.

Se ne parla da anni, ma questo approccio fa fatica a prendere piede, perché presuppone un cambiamento forte della società e dell’economia.

Sempre per tornare al tema principale., “automobile” vuol dire “mobilità”. Come spostarsi in modo efficace ed efficiente.

Da molti anni esiste il noleggio delle automobili, poi evolutosi anche nel “car sharing”, l’auto condivisa.

Altra modalità per ridurre le automobili circolanti è il “car pooling”, cioè fare in modo che la stessa autovettura trasporti più persone, con particolare riferimento a coloro che fanno percorsi abituali casa-lavoro e viceversa.

Si parla molto anche di “mobilità integrata”: per andare da casa mia al posto di lavoro (o in qualunque altro posto) posso prendere l’automobile per andare alla più vicina stazione ferroviaria, lì parcheggiarla, prendere il treno, e magari fare l’ultimo tratto fino a destinazione con una bicicletta o un monopattivo elettrici e pieghevoli.

In poche parole, invece di spingere la produzione di automobili, le aziende produttrici dovrebbero trasformarsi in “fornitori di mobilità”; la Toyota aveva iniziato qualche anno fa un processo in tal senso, ma non sembra che gli altri big del settore stiano spingendo più di tanto.

E soprattutto i governi nazionali dovrebbero spingere il trasporto pubblico e collettivo. Nel nord Europa stiamo già molto avanti, specialmente in Germania. Le città vengono progettate o riprogettate a misura di trasporto pubblico .

Se io fossi il capo di Stellantis, l’azienda nata dalla fusione di di FCA (Fiat-Chrysler) e gruppo PSA (Peugeot-Citroen), cercherei di produrre meno modelli di automobili, ma più robuste e performanti, vendere servizi di noleggio, car sharing e car pooling, proporre applicazioni e programmi software per consentire all’utente finale di trovare il giusto mix tra i vari mezzi di trasporto ed andare dal punto A al punto B, in tempi ragionevoli ed a un giusto rapporto rapidità-comfort-prezzo.

E’ così difficile da capire?

Vent’anni fa, quando in Italia iniziò la liberalizzazione della fornitura di energia (elettricità e gas), si innescò un dibattito per trasformare le aziende da fornitori di un prodotto a fornitori di un servizio energetico, facendo anche risparmiare all’utente finale. Questo in parte è avvenuto (ad esempio, l’ENEL fornisce anche caldaie e moduli fotovoltaici), ma molto resta ancora da fare.

Allo stesso modo le aziende automobilistiche mondiali si devono re-inventare e la classe politica e dirigente mondiale deve capire che occorre cambiare registro e paradigmi.

Il tempo stringe.

Le modifiche al clima ed al meteo mondiali sono già in atto. Il Mediterraneo si sta tropicalizzando e pare che fra pochi anni in Italia non sarà più possibile coltivare la vite, che si sposterà sempre più a nord verso i paesi scandinavi. Ve la immaginate un’Italia senza vino?

Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli e ai nostri nipoti? Essi ci malediranno per non aver fatto abbastanza.

Le transizioni ecologica ed energetica comportano qualche (piccolo) sacrificio, nulla in confronto alle devastazioni che ci attendono.

Così come fare la raccolta differenziata dei rifiuti “porta a porta” comporta un po’ di lavoro a casa propria (separare l’organico, la carta, la plastica, il vetro ecc. – ma niente in confronto al beneficio di non avere più discariche vicino casa) , lo stesso vale per una modifica nei nostri comportamenti, come prendere l’aereo solo quando strettamente necessario (e pazienza per i week-end low-cost in una capitale europea, c’è tanto da scoprire in Italia……).

O capiamo queste cose (ed agiamo di conseguenza) oppure è inutile la sterile lamentela (con annesso senso di colpa).

La specie umana ha di fronte a sé una grande sfida, sta a noi affrontarla al meglio.