OCCIDENTE

Nel numero del quotidiano La Repubblica di domenica 12 febbraio 2023 c’è un articolo di Simonetta Fiori

(https://www.repubblica.it/cultura/2023/02/11/news/intervista_storico_andrea_graziosi_nuovo_saggio_occidenti_e_modernita-387530974/), che intervista lo storico Andrea Graziosi in merito al suo saggio “Occidenti e modernità” (Il Mulino, 2023).

Quest’articolo è molto interessante.

Fa comprendere chiaramente dove è diretto l’Occidente. Per “Occidente”intendiamo più un concetto che una locuzione geografica. Genericamente viene inteso come l’insieme di Europa + nord America, ma in realtà comprende tutte quelle nazioni, movimenti, popolazioni, singoli individui, che si riconoscono nei valori della liberaldemocrazia.

Occidente, liberalismo (da non confondere con liberismo), democrazia sono concetti astratti. In particolare la democrazia è una aspirazione: non mi risultano, nel globo terracqueo, nazioni che si possano definire compiutamente “democratiche”, laddove il potere è espresso dal popolo. Così come la libertà è un valore che va difeso ogni giorno, in quanto è messo in discussione sempre di più.

Da quello che si percepisce leggendo le recensioni del libro “Occidenti e modernità” , il professor Graziosi non affronta un tema nuovo (il declino dell’Occidente), ma lo fa fornendo utili ed importanti elementi per capire dove stiamo andando.

“Abbiamo smesso di fare figli (si dice nell’intervista)…… viviamo molto più a lungo …le nostre società sono più vecchie e meno vitali”. “Sono milioni gli anziani che in Italia vivono da soli e all’immaginazione del futuro preferiscono la commemorazione”.

Queste frasi sono un forte campanello di allarme.

Ma poi l’intervista entra nel merito dell’argomento più importante: per due secoli (il XIX ed il XX) la liberaldemocrazia (l’Occidente) ha garantito le “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria. Una crescita più quantitativa che qualitativa, che però ha consentito alle nazioni più ricche di arricchirsi ancora di più (a scapito di quelle più povere) e di far immaginare a europei, nordamericani, giapponesi, sudcoreani (ed altre nazioni) un futuro sempre migliore, anche per i propri discendenti.

Negli anni ’70 del XX secolo il sistema economico mondiale era stato ristrutturato (con l’automazione meccanica, elettronica e poi informatica) per far fronte all’aumento delle materie prime (in particolare petrolifere). La caduta del Muro di Berlino aveva portato poi alla “globalizzazione”(in buona sostanza: la delocalizzazione produttiva, alla continua ricerca di manodopera a basso costo); in molti pensavano che il capitalismo non avrebbe più avuto lacci e lacciuoli , per poter dispiegare tutta la sua potenza.

Ma verso la fine del XX secolo la “spinta propulsiva” del sistema economico capitalistico si è andata via via esaurendo; lo scoppio della bolla speculativa denominata delle “dot.com” dell’anno 2000 è stata una doccia fredda. Le “dot.com” erano le società quotate al NASDAQ (la sezione di borsa per le società innovative, con sede a New York) che avevano assunto valori di borsa astronomici, fuori da ogni logica economica, valori persino superiori alle aziende storiche come General Motors o General Electric.

Siamo entrati nel XXI secolo nel peggiore dei modi. Il re era nudo. Era la dimostrazione che l’economia mondiale era basata su presupposti sbagliati, laddove la finanza aveva preso il posto dell’agricoltura, dell’industria, dei commerci e dei servizi.

Il sistema capitalistico è cresciuto in modo esponenziale (e con esso la popolazione mondiale) a seguito dello sfruttamento sistematico delle risorse naturali (considerate erroneamente “infinite”) e dello sfruttamento della forza lavoro, prima “occidentale”, e poi asiatica, africana e sudamericana.

Ma il pianeta Terra NON è infinito, le risorse minerarie si stanno esaurendo (in particolare i combustibili fossili) e gran parte della popolazione mondiale è sempre meno disponibile a lavorare per stipendi da fame.

Per cui molti hanno pensato di fare i soldi con la carta (la finanza). Ma se manca “il sottostante” cioè l’economia reale, possiamo produrre quanta carta vogliamo, ma prima o poi questa carta varrà poco o nulla.

Ed è quanto è poi accaduto nel 2007, con il devastante crollo delle borse americane, crollo che ha poi contagiato tutta l’economia mondiale. Da quella crisi non ci siamo più ripresi, e l’economia mondiale cresce a ritmi molto più bassi rispetto alla seconda metà del XX secolo. Del resto nei paesi “sviluppati” abbiamo ormai tutti un televisore, una lavabiancheria, una automobile, due smartphone, e non li possiamo sostituire ogni anno per far crescere (fittiziamente) l’economia.

Nel XXI secolo, a seguito della finanziarizzazione dell’economia, i ricchi si sono arricchiti sempre più, la classe media (quella che ha garantito il “consumismo”) si è impoverita, e con essa i ceti sociali inferiori.

Tutto ciò ha creato, nella grande maggioranza dei popoli “occidentali”, una visione “depressa” nei confronti del futuro, che sta portando all’”inverno demografico”. In questa “depressione” generale si sono astutamente inseriti svariati leader politici di stampo populista. Chi sono i leader populisti? Coloro che promettono soldi e prebende al popolo, senza avere le coperture economiche, attraverso i famosi “SCOSTAMENTI DI BILANCIO”, che tradotto in italiano significa “aggravamento del debito pubblico nazionale”.

Sono capaci tutti a governare “a debito”, promettendo soldi a destra e a manca, ai pensionati, ai poveri, agli imprenditori, a Tizio, a Caio e a Sempronio; tanto mica pagano loro, paga LO STATO ITALIANO, cioè tutti noi.

Come si dice nella sopracitata intervista: “non è un caso che in Italia a vincere le elezioni sono le persone che promettono di più: è il salto pericolosissimo dalla DEMOCRAZIA alla DEMAGOGIA”.

E in questo quadretto poco esaltante, si aizzano i più poveri contro i migranti, che vengono dipinti come coloro che vanno a togliere ai poveri quel poco di “stato sociale” che viene erogato.

L’Italia sta andando a passi veloci verso le “democrature” (democrazie + dittature) come l’Ungheria o la Turchia. Apriamo gli occhi, prima che sia troppo tardi.

Come contrastare questo andazzo? Nessuno ha facili soluzioni in tasca.

La gente non vuole pensare; pensare è faticoso, e mette in dubbio le proprie scarse certezze. Si preferisce seguire, come pecore che vanno al macello, il pastore del gregge. Altro che “Homo sapiens sapiens”.

Per tre anni (2020-2023) siamo stati travolti dalla pandemia causata dal virus Sars-CoV-2; anche se la pandemia è stata recentemente considerata conclusa dall’OMS (Organizzazione mondiale della salute), il virus continua a circolare e a fare vittime. La pandemia Covid-19 ha sconvolto equilibri geopolitici, ha creato insicurezza sul nostro futuro.

E da febbraio 2022 ci dobbiamo confrontare con la guerra in Ucraina, che ha ulteriormente sconvolto i rapporti tra USA, Europa, Russia, PRC (Repubblica popolare cinese) e resto del mondo.

Dobbiamo immaginare un futuro dell’umanità basato su uno sviluppo qualitativo, più che quantitativo. Dobbiamo consentire alla metà della popolazione mondiale di avere un reddito dignitoso, che consenta di acquistare beni di prima necessità (e questo farebbe ripartire l’economia mondiale). Ma per ottenere ciò dobbiamo REDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA mondiale.

Dobbiamo ripetere, su scala globale, quello che seguì alla seconda rivoluzione industriale, cioè la intuizione di Henry Ford di cento anni fa : se voglio vendere le mie automobili, devo dare ai miei operai stipendi tali per cui LORO possano acquistare le mie automobili. L’economia gira se, oltre ai PRODUTTORI, ci sono anche gli AQUIRENTI; così semplice da capire, ma non viene capito (ed applicato) da chi dirige il mondo.

Per far ripartire l’economia mondiale occorre consentire al minatore congolese, all’agricoltore nigeriano o somalo, all’operaia tessile del Bangladesh, al lavoratore del centro-sud America, di avere un POTERE DI ACQUISTO. Dobbiamo smettere di sfruttare questi lavoratori.

Dopo la seconda guerra mondiale, in particolare nel periodo 1968-1969, in Italia, in Europa e nel mondo, le lotte sindacali portarono ad un aumento degli stipendi ed al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; tutto ciò agevolò benessere ed economia. Ma le guerre arabo-istraeliane degli anni ’70 dello scorso secolo fecero lievitare i prezzi del petrolio e di molte altre materie prime, mettendo in crisi il sistema. La risposta industriale , oltre all’automazione, fu quella di cercare di risparmiare sulla manodopera, trasferendo le produzioni in Asia, in sud America ed in Africa.

Il confronto tra capitalisti e lavoratori si è trasferito così nello sfruttamento del SUD da parte del NORD DEL MONDO. Ma questo non si dice, ci mancherebbe altro, il popolo va mantenuto stupido, per aizzarlo contro i migranti.

Occorre leggere, studiare, informarsi, capire, pensare, far capire, contrastare l’ignoranza diffusa, contrastare il menefreghismo, contrastare quelli che remano contro con le menzogne (dette anche “fake news”). Non mi sembra che ci siano alternative, se vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo degno di essere vissuto.

Se invece vogliamo fare le cicale e goderci il presente fino allo stremo, pazienza, l’estinzione della specie umana è dietro l’angolo.

DECOLONIZZAZIONE FALLITA

Anche in questi primi mesi dell’anno 2023 le cronache quotidiane sono occupate dalla “emergenza” immigrazione.

Persino un deficiente capisce che dopo 15-20 anni non si possa ancora chiamare “emergenza”, ma i nostri governanti lo fanno, lo fanno in malafede, perché la supposta “invasione” dei migranti è funzionale a spaventare la gente per fini elettorali.

In pochi cercano di andare a fondo, per capire le motivazioni della Grande Migrazione del XXI secolo.

Per il momento concentriamoci sull’Africa.

Come sappiamo, l’homo sapiens sapiens si è evoluto nell’Africa equatoriale, per poi diffondersi in tutto il mondo. L’Africa ha avuto nel corso della storia delle grandi civiltà, come quella egizia, ma è stata, nel corso dei millenni, oggetto di conquiste.

Le colonizzazioni dell’evo moderno sono iniziate nel XV secolo da parte dei portoghesi, che costeggiando l’Africa occidentale, hanno iniziato prima a sfruttare le materie prime del continente, per poi iniziare il commercio degli schiavi. Pochi sanno che nel XVI secolo c’erano in Europa diversi schiavi africani. Le conoscenze marinare acquisite da portoghesi (e poi dagli spagnoli) hanno poi consentito la spedizione di Cristoforo Colombo e la “scoperta” dell’America.

Il famoso “Rinascimento” italiano ed europeo del XVI secolo si deve in larga misura alla “scoperta” dell’Africa e dell’America; i mercanti di materie prime e di schiavi hanno arricchito prima Spagna e Portogallo, e subito dopo le altre nazioni che si sono lanciate alla caccia del “bottino”, come Francia, Gran Bretagna e Paesi bassi. Tutta questa ricchezza ha favorito l’uscita dal Medioevo e la rinascita delle arti e della cultura.

Nel periodo tra il XVI e il XX secolo il continente africano è stato suddiviso in zone di influenza (così come il continente americano). L’Africa nord-occidentale è finita in mano alla Francia. Al Portogallo sono andate Angola e Mozambico. Il Belgio conquistò il Congo, la Gran Bretagna la Rhodesia ed altre nazioni dell’Africa centro-meridionale. Agli anglo-olandesi andò il Sud Africa. I tedeschi si accaparrarono la Namibia.

Gli italiani, a cavallo tra XIX e XX secolo, cercarono di accaparrare quello che era rimasto, sottraendo la Libia all’impero ottomano e conquistando il Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea e Somalia).

La fine della Seconda guerra mondiale ha generato un forte cambiamento nella geopolitica mondiale. L’impero inglese è stato sostituito dall’impero statunitense.

La Gran Bretagna, pur essendo tra le potenze vincitrici, è uscita dal Secondo conflitto mondiale profondamente indebolita, sia economicamente che politicamente. Di questo ne ha approfittato il subcontinente indiano, concordando l’indipendenza dell’India (con successivi feroci conflitti interni tra musulmani e indù, che hanno portato alla formazione del Pakistan).

Del progressivo smantellamento dell’impero inglese ne hanno anche approfittato alcune nazioni africane, che hanno dato avvio, nel corso degli anni ’60 del secolo scorso, al processo di “decolonizzazione”.

Numerosi leader nazionalisti hanno portato le principali nazioni africane a conquistare l’”indipendenza”, alcune in modo incruento, altre dopo sanguinose guerre di liberazione (come è accaduto per l’Algeria).

Perché “indipendenza” tra virgolette?

Tra queste virgolette si nasconde il fallito processo di decolonizzazione africana. La maggior parte delle nazioni europee colonizzatrici hanno fatto finta di andare via. Nella realtà dei fatti, sono stati installati dei governi formalmente indipendenti, ma in realtà fortemente legati all’Occidente, sia dal punto di vista finanziario che tecnologico.

Per estrarre le immense ricchezze minerarie dell’Africa servono le tecnologie delle nazioni più ricche. Le multinazionali nordamericane (tra cui le famose “7 sorelle”) si sono insinuate in questo processo, sostituendo via via l’Europa.

Poi è arrivata l’Unione sovietica (poi Russia), che, con la scusa di appoggiare i movimenti indipendentisti filo-marxisti (come in Angola e Mozambico), ha iniziato un rapporto economico di sfruttamento di molte nazioni africane (ripartito negli anni recenti, a seguito dell’apporto dei mercenari del Gruppo Wagner).

Non poteva mancare dalla spartizione del bottino la Repubblica popolare cinese (PRC), che negli ultimi trent’anni è intervenuta in modo più morbido, ma non meno incisivo. In cambio di materie prime e terre da coltivare, ha fornito a molte nazioni africane infrastrutture come strade, ferrovie, dighe idroelettriche, porti civili (e militari). La PRC ha fornito anche ingenti prestiti, che non sono stati in parte restituiti, innescando la famosa “trappola del debito”, che rende molte nazioni suddite dei creditori.

Non bastasse, in questi giochi economici e finanziari si sono poi inseriti molti stati del Medio oriente, come Turchia, Arabia saudita, Iran, Emirati arabi Uniti, Quwait, Qatar o Bahrein (ed altri) che finanziano e appoggiano vari gruppi tribali o milizie etnico-religiose che si combattono ferocemente.

Da diversi decenni molte nazioni africane sono perennemente in guerra, dilaniate da conflitti civili, come sta accadendo in questi giorni nel Sudan. Ogni fazione lotta esclusivamente per accaparrare le preziose miniere di oro, argento, uranio, cobalto, petrolio (e molti altri minerali) di cui è piena l’Africa. Gli allocchi che ancora credono ai conflitti etnico-religiosi sono sempre meno.

Mentre si parla del Sudan, si parla assai meno di altre nazioni, come il Burkina Faso, dove sono in corso massacri perpetrati da truppe regolari che combattono le milizie jihadiste (l’ISIS è stato sconfitto in Medio oriente, ma è in crescita in Africa).

Non bisogna essere molto intelligenti e/o informati per capire che tutti questi conflitti non consentono alle nazioni africane di uscire dalla miseria che le affligge. Miseria generata dall’atteggiamento delle citate nazioni neo-colonizzatrici, che spartiscono con le classi abbienti locali i proventi delle miniere e dell’agricoltura monocolturale, lasciando centinaia di milioni di persone a combattere con fame e malattie.

E POI CI SI DOMANDA PERCHE’ MILIONI DI PERSONE CERCANO DI FUGGIRE DALL’AFRICA cercando salvezza in Europa. Solo chi è in malafede non capisce la situazione; è facile girarsi dall’altra parte e preoccuparsi solo dell’”invasione” dei migranti.

I furbi politici conservatori e reazionari delle varie nazioni europee ci marciano alla grande, aizzando la popolazione contro i migranti che violentano e accoltellano le nostre donne, come recentemente accaduto nei pressi delle stazioni centrali di Roma e Milano.

E nemmeno i progressisti europei hanno il coraggio di affrontare la Grande Migrazione alla radice. Si limitano a propagandare una generica solidarietà e/o accoglienza, che sono un pre-requisito minimo, che dobbiamo a queste popolazioni sfruttate per secoli.

E, finalmente, nelle ultime settimane anche in Italia si sta cominciando a parlare di “inverno demografico”, in quanto nel 2022 ci sono state solo 400mila nascite a fronte di 700mila morti.

In Europa siamo 500 milioni di imbecilli. L’Europa si sta spopolando, si fanno sempre meno figli. Mancano milioni di persone per lavorare nei campi, nelle fabbriche, nell’assistenza familiare, nel commercio e nei servizi; invece di far arrivare gli africani, gli asiatici ed i sudamericani in modo regolare e controllato, continuiamo ad erigere muri e a frapporre ostacoli.

E lo sanno tutti che la gran parte di migranti che entra in Italia vuole andare a raggiungere i parenti nelle ricche nazioni del nord Europa. Quelli che restano in Italia vanno integrati con corsi di alfabetizzazione italiana e formazione professionale, come si è cercato di fare con i progetti SPRAR, smantellati dagli ultimi governi.

Come si fa ad essere ottimisti, di fronte a tanta ottusità ed imbecillità? La speranza è che gli europei prendano presto coscienza della situazione e la smettano di seguire i “pifferai magici “ che ci stanno portando verso il precipizio.