CHI E’ DISPOSTO A MORIRE PER L’EUROPA?

24 febbraio 2022. Prima dell’alba i missili russi colpiscono le infrastrutture militari ucraine e danno inizio all’invasione del “paese fratello”.

Quanto durerà questa operazione? Mentre scriviamo non è dato saperlo. Probabilmente lo scopo finale è quello di un cambio alla presidenza del governo ucraino, per installare un presidente filo-russo.

L’Europa si deve interrogare sulla nuova situazione. Al di là degli eventuali problemi psicologici del dittatore russo, sempre più isolato in una bolla anti-Covid19, come siamo arrivati a questo punto?

Lascio agli esperti di geopolitica internazionale le analisi più approfondite sul perché e sul percome.

La domanda di fondo rimane una: chi è disposto a morire per l’Europa?

Dalla fine della Seconda guerra mondiale all’inizio del 2022, l’Europa ha attraversato un periodo di relativa pace. E ribadisco relativa, perché qualcuno ha completamente rimosso la tragedia delle guerre seguite al dissolvimento della ex-Jugoslavia; qualche incosciente ha anche prodotto una moneta per commemorare “70 anni di pace in Europa”.

Dal 1945 al 1989 l’Europa è rimasta “congelata” alla situazione della fine della guerra. La parte “occidentale” finiva al confine tra Germania ovest e Germania est. Dall’altra parte c’erano le nazioni “satelliti “ della Unione sovietica.

La caduta del Muro di Berlino ha scongelato mille tensioni e pulsioni. L’URSS si è dissolta, ma non senza problemi (ancora irrisolti). La geografia del continente è stata comunque ridisegnata.

Anche la Jugoslavia si è dissolta. La Serbia, guidata da Slobodan Milosevic voleva diventare “grande Serbia” e ricostituire la Jugoslavia sotto altre forme. Per più di dieci anni abbiamo assistito a guerre e massacri, stupri etnici e genocidi. A poche centinaia di chilometri dall’Italia. In Europa. Speriamo che Vladimir Putin non voglia emulare – in grande- Slobodan Milosevic)

L’ Europa è morta a Srebrenica, quando, nell’estate del 1995, più di 7000 (settemila) maschi bosniaci sono stati massacrati dalle truppe del generale serbo Ratko Mladic. L’Europa non ha fatto nulla per difenderli (forse perché erano di religione islamica); le truppe NATO olandesi, che dovevano difenderli, sono scappate prima del massacro.

Chi è disposto a morire per l’Europa? A quanto pare, pochissimi, praticamente nessuno (fatti salvi alcuni militari di professione, dei reparti di élite).

E quali “Stati uniti d’Europa” vogliamo costruire, se nessuno è disposto a morire per essi?

In questi giorni, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, è tutto un florilegio di aria fritta, con roboanti dichiarazioni dei leader politici europei, sui valori liberali, sulla democrazia, eccetera eccetera eccetera. Putin lancia i missili e noi europei rispondiamo con le chiacchiere. Putin ride di noi.

Ma la democrazia si difende con i fatti. Con le chiacchiere, nel 1945 non ci saremmo mai liberati dal nazifascismo. Dopo aver appoggiato il regime di Benito Mussolini, gli italiani hanno preso il fucile in mano ed hanno cacciato gli occupanti, con l’insostituibile apporto dell’esercito USA e dei suoi alleati.

Quando un popolo affronta la lotta armata, evidentemente è supportato da valori in cui si riconosce. Valori che ricomprendono la storia, la cultura, la religione, la memoria collettiva.

E per difendere i propri valori, si è disposti anche a sacrificare la propria vita, a beneficio di quella dei propri familiari e della propria comunità.

Sarebbe auspicabile un mondo di pace. Ma nella storia del mondo il pacifismo ha funzionato poche volte. E la violenza è insita nell’essere umano, a cominciare dalle liti stradali o di condominio. In India il Mahatma Gandhi ha consentito alla sua nazione di liberarsi dal dominio coloniale inglese anche grazie alla non violenza, ma subito dopo la dichiarazione di indipendenza, musulmani e induisti si sono massacrati (per anni, ancora oggi) , dando poi origine a due nazioni distinte (Pakistan e India).

Non è facile decidere di andare a combattere. Per fare questa scelta occorre grande coesione sociale.

Coesione sociale assente a livello di Unione europea.

Quali valori comuni sussistono fra un lappone e un siciliano, o fra un portoghese ed uno slovacco? Molti sventolano le radici cristiane dell’Europa. E qui ci fermiamo.

Parliamo decine di lingue diverse, abbiamo storie molto diverse. Le più importanti nazioni europee si sono ferocemente combattute per secoli.

Certamente la Unione europea rappresenta un tentativo per smettere di farci la guerra tra europei. Ma l’Unione europea è ancora lungi dal divenire uno stato federale, come gli Stati uniti d’America.

Francia, Germania ed Italia (per citare i principali stati fondatori della UE), hanno politiche economiche e sociali assai distanti, specialmente sull’approccio con l’estero.

La Francia ha ancora nostalgia del suo ex-impero, impero che ancora parzialmente resiste nell’Africa nord-occidentale. La Germania resta la nazione più popolosa e ricca di tutta l’Europa e segue logiche di dominio economico.

L’Italia (settima, ottava, decima potenza economica mondiale?) segue a ruota, priva completamente di una politica estera e di una visione pluriennale: in Italia si naviga a vista, con partiti politici populisti (quasi tutti) che, invece di perseguire gli interessi nazionali, si limitano a rincorrere la pancia degli elettori per racimolare qualche voto.

L’Europa ricca è quella del BENELUX (BElgique- NEederland- LUXemburg), della confinante Germania, dell’Austria, dove si parla prevalentemente tedesco.

Il resto dell’Europa segue al traino.

Per anni abbiamo glorificato il programma “Erasmus”, che ha consentito a migliaia di studenti universitari europei di studiare per qualche tempo in un altro paese europeo ed acquisire così esperienze e competenze. Si è formata una “generazione Erasmus”.

Quanti di questi trentenni-quarantenni “Erasmus” sarebbero disposti a morire per l’Europa?

L’era del consumismo (1950-2000) ha illuso noi europei di vivere in un mondo bellissimo, fatto di benessere, di automobili a go-go, di telefoni cellulari, di week-end in una capitale europea con 50 Euro (grazie ai voli low-cost).

E chissenefrega se nel resto del mondo si muore di fame, di malattie, di persecuzioni, di guerre.

Quanti si sono preoccupati dell’Africa, delle guerre in Medio oriente (Palestina, Afghanistan, Siria, Yemen), delle minacce dei dittatori della Corea del nord? Un mondo in perenne guerra, altro che 70 anni di pace, con il rischio della Terza guerra mondiale sfiorato più volte.

E adesso tutta la debolezza culturale e valoriale di noi europei ci impedisce di affrontare a muso duro Vladimir Putin, il quale si siede alle trattative con la pistola sul tavolo. Egli ci tratta a pesci in faccia, e noi come rispondiamo? Con le sanzioni economico-finanziarie.

Lo hanno detto e stradetto tutti che le sanzioni economiche hanno scarsissimi effetti nel breve periodo. Posso averne qualcuno nel lungo periodo, ma nel lungo periodo siamo tutti morti.

In Europa ci siamo illusi che la guerra facesse parte del passato. Purtroppo anche nel XXI secolo le relazioni e le dispute internazionali vengono regolate con le armi.

E sarà sempre più vero, in un mondo sempre più popolato. Abbiamo (quasi) raggiunto gli 8 miliardi di abitanti, a fronte di risorse naturali sempre più scarse.

A seguito della crisi climatica (generata sempre dall’era del consumismo di cui sopra) la quantità di acqua dolce si sta riducendo, lasciando presagire le guerre per l’acqua, in parte già iniziate. Per non parlare dell’erosione e della desertificazione dei suoli, mentre altre aree del mondo sono a rischio inondazione per le sempre più violente piogge monsoniche o per l’innalzamento degli oceani, dovuto allo scioglimento dei ghiacci artici ed antartici.

Ma chissenefrega del resto del mondo, del clima, delle guerre. La pandemia Covid-19 sta (forse) giungendo al termine della sua fase più acuta, e via a ricominciare a gozzovigliare, a viaggiare in lungo ed in largo, ad comprare questo e quello, esattamente come nel 2019, prima della pandemia, come se non avessimo tratto insegnamenti per cambiare il nostro stile di vita e migliorare credenze e valori di riferimento.

Molti paragonano il 2022 al periodo post-Seconda guerra mondiale. Il mondo riparte e si ricostruisce. Ma il paragone non regge. Sembra piuttosto di assistere ad una gigantesca rimozione (che lascerà comunque tracce profonde nella psiche umana) per poi ricominciare ad agire esattamente come prima.

La domanda iniziale rimane. Chi è disposto a morire per l’Europa?

Se non affrontiamo seriamente questi temi, l’Unione europea resterà sempre un “gigante” economico” ma un “nano politico”.

E rimarremo sempre in attesa che il declino statunitense, l’ascesa a prima potenza della Repubblica popolare cinese e le contorsioni della Russia, ci facciano brutalmente svegliare dal nostro torpore.

CAPITALISMO DEGLI INCENTIVI

IN ITALIA ( E NON SOLO) ESISTE ANCORA IL RISCHIO D’IMPRESA?

Esiste ancora il rischio d’impresa in Italia? Sembrerebbe di no.

Ci stiamo surrettiziamente avviando verso un capitalismo di stato, in cui la Repubblica italiana sta diventando (quasi) l’unico soggetto imprenditoriale che mette soldi a rischio.

La nuova “razza padrona” predica il liberismo economico quando fa comodo, ma quando bisogna ingrassare i fatturati allora si riscoprono tutti “keynesiani”, e vanno con il cappello in mano a chiedere “aiuti di stato” per i più svariati settori. Se vuoi gli aiuti di stato, caro imprenditore, poi dopo ti devi mettere in riga, rispettare norme, leggi, regole e redistribuire i profitti.

Troppo comodo: botte piena e moglie (marito) ubriaca.

E’ di questi giorni l’indagine della Guardia di Finanza, in merito a truffe, raggiri ed appropriazioni indebite nel grande calderone del “superbonus 110%” e degli altri aiuti sull’efficientamento energetico.

Due anni di pandemia Covid-19 hanno prostrato diversi settori dell’economia, in particolare quello dell’edilizia.

Qualche intelligentone governativo ha ben pensato che per far ripartire il settore fosse necessario l’ennesimo incentivo pagato dal contribuente ed è saltato fuori che ci si può ristrutturare casa praticamente “agratis”. Ovviamente ne è scaturito un “pranzo ricco, mi ci ficco”, con tanti progetti seri fatti da aziende serie a proprietari di casa seri, ed altrettanti progetti farlocchi “tanto paga Babbo Natale”.

A qualcuno (molti) è sfuggito che il debito pubblico nazionale è passato in due anni (da dicembre 2019 a dicembre 2021) da 2400 miliardi a 2700 miliardi di Euro.

Complimenti per la scelta!! 150 miliardi di Euro all’anno!

Ma il governatore della Banca d’Italia Visco ci racconta che il debito pubblico è diminuito! In realtà nel 2021 è diminuito il rapporto debito/PIL, perché abbiamo avuto un fuoco di paglia, cioè l’aumento del PIL del 6 e passa per cento, che in realtà è stato un RIMBALZO (essendo il PIL calato del 9% nel 2020).

Giustamente nel periodo pandemico occorreva (e occorre) ristorare i ristoratori, gli albergatori, i gestori dei locali da ballo, i commercianti, lavoratori autonomi, altri lavoratori (dipendenti) eccetera eccetera eccetera. E meno male che c’era il reddito di cittadinanza, che sicuramente è andato in larga parte a chi ne aveva effettivamente bisogno, ma che è stato anche il festival degli indebiti percettori.

E dove li mettiamo i bonus monopattini e bici elettriche, i bonus per i 18enni, i bonus docenti, i bonus babysitter, i bonus facciate? E i bonus per le vetture poco inquinanti?

E chi paga tutti questi bonus? Provate a indovinare?

I contribuenti italiani, gli stessi da sempre, cioè quelli che hanno una busta paga o una pensione e che non possono sfuggire al fisco.

O meglio, i figli ed i nipoti dei contribuenti italiani, visto che il debito di 2700 miliardi di Euro verrà spalmato sulle prossime generazioni.

E dove lo mettiamo il PNRR, il famoso piano di ripresa e resilienza, di cui si riempiono la bocca i politici nostrani, che promette una pioggia di miliardi per i prossimi anni? Peccato che 2/3 di quei soldi andranno restituiti all’Europa.

Per farla breve, dalla fine dell’era del consumismo (1950-2000) il sistema economico capitalista, il cui presupposto sarebbe la disponibilità di capitali di rischio da investire in attività economiche, ha pensato bene di reperire il capitale di rischio dagli stati nazionali, piuttosto che dalle saccocce degli imprenditori, che stanno per diventare sempre più PRENDITORI.

Ottimo. Constatiamo che:

1) abbiamo una nazione supposta “comunista”, cioè la Repubblica popolare cinese (PRC) che da 30 anni pratica il capitalismo con caratteristiche cinesi. In sostanza un ossimoro: come fa a coesistere il capitalismo (che presuppone massima libertà di intraprendere e di investire) con una “dittatura del proletariato”? Da 30 anni tutti fanno finta di niente ma i nodi stanno venendo al pettine (e lo scorso anno Xi Jinping si è “ricordato” di essere comunista…..)

2) dall’altra parte del mondo, in Europa ed in Italia in particolare, abbiamo un capitalismo in salsa statalista/comunista, dove lo stato distribuisce a destra e a manca i soldi dei contribuenti per attività di impresa e sostegno ai consumi.

Lo stato deve certamente intervenire per migliorare la redistribuzione dei profitti generati dall’economia, affinché i ricchi non diventino troppo ricchi ed i poveri non diventino troppo poveri.

Ma lo stato nazionale non deve diventare Babbo Natale.

Sono quasi trent’anni che andiamo avanti con “meno tasse per tutti” (ma dove li piglia lo stato i soldi?), poi abolita l’IMU per la prima casa, poi i famosi 80 Euro di Matteo Renzi, poi soldi a go-go per (quasi) tutti.

L’economia mondiale ormai va avanti con la carta, nel senso che i titoli derivati (ingegneria finanziaria) sono pari a decine di volte il valore del “sottostante” (l’economia reale) ed il debito mondiale ammonta a circa 300mila miliardi di dollari.

L’economia mondiale è stata trainata per decenni dai consumi spropositati degli USA ( a cui tutti cercavano – e cercano – di vendere beni e servizi) insieme a Giappone (fermo da 20 anni) e Germania. Poi il traino mondiale è passato alla Repubblica popolare cinese (PRC), ma anch’essa deve fare i conti con il rallentamento dei consumi mondiali (crisi 2007-2008) e poi da due anni di pandemia Covid-19. Ed i cinesi si sono buttati sui consumi interni, con una bolla immobiliare già esplosa. Sono 75 anni che il mondo va avanti con la costruzione di case e la produzione di automobili; ormai bisogna cambiare modello.

E per tornare in Italia, dove la mettiamo la questione “plusvalenze” nel mondo del calcio? Un sistema fallito cerca di tirare avanti ancora per qualche anno, sopravvalutando i calciatori in modo da camuffare i bilanci.

Ed è notizia di questi giorni che la compagnia aerea ITA, erede della vecchia Alitalia, verrebbe acquistata (con la maggioranza delle quote) da MSC (grande compagnia di navigazione merci e passeggeri) e da Lufthansa, la compagnia di bandiera tedesca. Ottima scelta! Loro si prendo la parte buona di quel che resta di Alitalia, mentre noi (lo Stato italiano) ci teniamo i debiti (e la cassa integrazione perpetua per gli ex-dipendenti).

Nel mondo ci sono ancora molti sostenitori del liberismo economico, cioè quella dottrina per cui l’imprenditore, che si accolla i rischi d’impresa e mette le risorse finanziarie in una attività economica, deve essere lasciato libero di esprimersi, senza “lacci e lacciuoli” da parte dello Stato. Sarebbe poi il mercato (e/o lo stato nazionale) a redistribuire la (eventuale) ricchezza prodotta dall’imprenditore.

Peccato che tutta questa redistribuzione della ricchezza non si sia (quasi) mai vista.

In Italia in particolare, per decenni abbiamo avuto la principale azienda automobilistica che ha praticato la dottrina “profitti privati, perdite pubbliche”. Generazioni di operai ed impiegati sono andati in pensione dopo anni (anche decenni) di cassa integrazione ordinaria e straordinaria. E indovinate un po’ chi la paga la cassa integrazione? La paga l’INPS, cioè lo Stato italiano. Ma i profitti sono rimasti nelle casse della famiglia proprietaria, con sedi in Olanda, Londra ed altri paradisi fiscali europei.

E “ovviamente” oggi i costruttori di automobili internazionali sono tornati alla carica per avere “incentivi” sulle auto ibride / elettriche, che dovrebbero gradualmente sostituire il parco macchine circolante.

Per la serie: vogliamo il liberismo economico “à la carte”. Come al ristorante, quando scegliamo noi le portate che vorremo mangiare, anche nel sistema economico italiano, europeo e mondiale, l’imprenditore decide lui quando essere “liberista” e quando essere aiutato dallo stato.

Febbraio 2022. I prezzi dell’energia sono saliti, galoppa l’inflazione, siamo sull’orlo di una guerra con la Russia. E con l’inflazione e l’aumento dei prezzi c’è sempre qualcuno che ci guadagna.

Gli extra-profitti delle compagnie energetiche restano nelle casse delle compagnie stesse; nel frattempo lo Stato italiano tira fuori decine di miliardi per calmierare le bollette di luce e gas.

Ma a questa condizioni siamo capaci tutti a gestire un’impresa: basta avere il politico di turno che rema a mio favore.

Qualcuno potrà pensare: funziona così da sempre, cosa credevi?

Ma allora vuol dire che 1000 (mille) anni sono passati invano: siamo ancora a combattere con il signorotto medioevale che impone le tasse e le gabelle al povero servo della gleba, e guai a protestare, che arrivano gli sgherri del signorotto che ti rapiscono la figlia, magari da dare in omaggio per il “diritto della prima notte”.

La conclusione di questa breve disamina è: altro che “repubblica democratica fondata sul lavoro”. Questo è quello che vogliono farci credere.

Siamo invece ancora invece in mano ai vari principi, marchesi (del Grillo), duchi e baroni, con le loro corti di servitori e portaborse. Servitori e portaborse che distribuiscono i denari dei “signori” in modo clientelare, a questo o a quello, in funzione dei voti procacciati.

La democrazia presupporrebbe la sovranità popolare, ma abbiamo un popolo stordito da mille allucinazioni e allettamenti, un popolo blandito dalle false promesse di politici populisti, quando non anche complice e colluso.

La democrazia è preziosa e va difesa ogni giorno, ma non sembra che ci sia questa percezione. Le nazioni democratiche sono ormai una minoranza, ammesso e non concesso che la democrazia sia “la peggiore forma di governo, escluse tutte le altre” come credo dicesse Winston Churchill.

Siccome il mondo è governato in gran parte da dittature ed autocrazie, teniamoci stretta la nostra (pseudo)democrazia, anche per rispetto di coloro che sono morti per consegnarcela.

E che il popolo prenda consapevolezza che deve riappropriarsi degli strumenti di governo della democrazia, a cominciare dalle assemblee di condominio, per poi passare agli organi scolastici collegiali, ai comitati di quartiere, ai consigli comunali, provinciali e regionali. Fino ad arrivare al Parlamento repubblicano.

Riappropriarsi della democrazia, per essere protagonisti in campo sociale, culturale e, soprattutto economico: senza produrre ricchezza, ci mangiamo i soldi guadagnati dai nostri padri e dai nostri nonni.

Siamo la settima potenza economica mondiale? Ogni anno perdiamo una posizione, fino a quando verremo relegati in un cantuccio.

E gli imprenditori “prenditori” ci faranno una bella pernacchia.